Salute universale, ma...

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. art 32 della Costituzione.

In Italia l’assistenza sanitaria si basa sui principi di universalità, eguaglianza ed equità, ma questo non significa che, nei fatti, tutti abbiano accesso alle cure allo stesso modo.

Per esempio, se non hai i documenti, o una casa in cui vivere legalmente e fissare la residenza, non puoi avere una tessera sanitaria. E senza una tessera sanitaria non puoi avere un medico di famiglia. Puoi solo andare in pronto soccorso. Se sei ricco, non è un problema: puoi sempre pagare per andare dallo specialista migliore, senza attese. Più complicato andare in farmacia a prendere un antibiotico, o un farmaco che ha bisogno della prescrizione medica.

Ma il problema più grosso è se sei povero.

“L’articolo 32 della Costituzione dice che tutti in Italia hanno diritto alla salute. Ma la legge 833 del 1978, all’articolo 19 stabilisce che per ottenere un medico di medicina generale bisogna avere il requisito della residenza, fondamentale anche per esercitare il diritto di voto o poter lavorare, in proprio o come dipendenti. Senza residenza in Italia, si perdono diritti alla previdenza sociale, al welfare e, soprattutto, alla salute. Non hai più il medico di famiglia, puoi solo rivolgerti al pronto soccorso in caso di emergenza se stai per morire. Se hai malattie che necessitano di cure continuative come diabete, epatite, dermatiti, un antibiotico, è difficilissimo accedere al servizio sanitario”. Queste le parole di Antonio Mumolo, presidente di Avvocato di strada, un’associazione per i diritti dei senzatetto nata nel 2000 a Bologna e oggi attiva in molte città italiane.

Medicina delle migrazioni

Negli ultimi decenni, le leggi in materia di accesso alla salute sono diventate gradualmente più inclusive. Il diritto all’assistenza sanitaria degli stranieri in Italia è stato disciplinato organicamente dal Testo Unico sull’Immigrazione del 1998, che garantisce la tutela della salute anche a coloro che provengono da paesi extra-europei e sono presenti in Italia in condizione di irregolarità giuridica1. Per queste persone è stato introdotto il codice Stp (Straniero temporaneamente presente), un sostitutivo della tessera sanitaria che permette l’accesso a una serie di cure.

Nel 2007 con l’ingresso nell’Ue della Romania e della Bulgaria2 nasce l’esigenza di un sistema che tenga conto della presenza nel paese di cittadini europei che, pur garantiti da trattati e accordi internazionali, possono rimanere esclusi dall’accesso ordinario ai servizi sanitari.

Viene dunque istituito il codice Eni3 (Europeo non iscritto) che, pur con alcune differenze (ad esempio non può essere anonimo ed è regolato a livello regionale), si sovrappone a quello Stp (anonimo e con validità su tutto il territorio nazionale).

La normativa nazionale è garantista nei confronti dei diritti degli stranieri senza documenti.

I problemi principali si riscontrano piuttosto nel fatto che l’applicazione sia disciplinata a livello regionale: fatto che genera disuguaglianze e discriminazioni. Un esempio tra tutti: il mancato utilizzo del codice Eni in alcune regioni (Lombardia, Umbria e in Puglia “solo per le urgenze”), crea una disparità sostanziale tra stranieri irregolari in base alla loro provenienza (se da paesi dell’Ue o no) nella possibilità di accedere alle prestazioni ambulatoriali per la medicina essenziale.

“La normativa - spiega la dottoressa Cecilia Fazioli dell’Inmp (l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà - garantisce le cure urgenti, essenziali ancorché continuative, quelle che possono creare un danno se la persona non viene curata immediatamente o nel tempo. Questo “urgenti ed essenziali” nelle regioni Lazio e Campania si assimila ai Lea, i Livelli essenziali di assistenza, quindi tutti hanno accesso a tutte le prestazioni cui hanno diritto le persone iscritte al Sistema sanitario nazionale. Ma è difficile trovarlo scritto nelle direttive locali: in altre Regioni vige invece un’interpretazione restrittiva che limita l’accesso a chi non ha la tessera sanitaria alle sole cure urgenti, in alcuni casi si limita anche il rilascio stesso del codice Stp all’esigenza immediata di cura, mentre in Lazio e Campania il codice può essere rilasciato anche per screening e medicina preventiva”.

Questa variabilità, aggiunge Fazioli, “fa sì che spesso la materia sia lasciata in secondo piano, e che gli operatori che dovrebbero rilasciare i tesserini non abbiano tutte le informazioni per poterlo fare correttamente: così le persone che lo richiedono spesso sono rimandate indietro”.

I vuoti della normativa

“Ci sono altri paradossi - spiega Mumolo -. Per esempio gli stranieri provenienti da paesi extra Ue senza documenti hanno diritto con la tessera Stp a una serie di cure. I cittadini dell'Ue irregolarmente presenti sul territorio italiano e sprovvisti di assicurazione sanitaria europea (TEAM) possono accedere alle cure con il codice Eni. Invece i cittadini extra Ue con permesso di soggiorno ma sfrattati (e dunque senza residenza) o i cittadini italiani che finiscono in strada non hanno diritto a nulla, nei fatti”.

Come consigliere regionale in Emilia-Romagna, Mumolo ha ripresentato una proposta di legge per dare un medico di base alle persone senza dimora (circa 6mila in regione secondo l’ultimo censimento Caritas del 2016).

La legge è stata approvata il 9 luglio dalla Commissione Sanità e il 29 luglio dall’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna, divenendo il primo caso in Italia. Nello specifico, dà possibilità alle persone senza residenza presenti in regione, pur prive di un’iscrizione anagrafica, di iscriversi nelle liste degli assistiti delle Ausl. Questo permette di potersi rivolgere, in caso di malattia, ai medici di medicina generale, anziché ai soli servizi di pronto soccorso.

Arrivati a novembre 2021, la proposta sta venendo discussa da altre 8 regioni (Abruzzo, Lazio, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Toscana, Veneto) e, in queste settimane, sarà presentata in parlamento: un riconoscimento nazionale del medico di base a chi non ha la residenza sarebbe un passo fondamentale un pieno riconoscimento della salute intesa come diritto collettivo che lo Stato ha il compito di tutelare.

Nei casi in cui, però, ci siano dei buchi lasciati dalle istituzioni, a cercare di colmarli è spesso la società civile, con associazioni, volontari e ambulatori destinati a chi fatica ad orientarsi nella burocrazia italiana e spesso viene respinto dal sistema nonostante tutto. Realtà grandi e internazionali oppure piccole e locali come Sokos che, dal 1993, offre a Bologna assistenza socio-sanitaria gratuita a soggetti vulnerabili (immigrati senza permesso di soggiorno, senzatetto e chiunque viva in condizione di esclusione sociale).

Sokos non solo tenta di coprire anche le cure specialistiche non previste dagli Stp, come visite odontoiatriche o cardiologiche, ma assume anche un ruolo di fiducia per chi viene ignorato dal sistema. “Le persone - racconta il direttore medico Natalia Ciccarello - spesso vengono da noi in cerca di ascolto, non solo perché stanno male: cercano sicurezza, un riferimento rispetto a cui non essere invisibili”.

Un vuoto normativo in cui l’intervento di associazioni come Sokos è fondamentale, è, ad esempio, l'attesa di tre mesi per il rilascio di Stp. “Uno straniero extra Ue - prosegue Ciccarello - entrato regolarmente in Italia, anche se indigente, viene considerato per tre mesi un turista, e ha quindi tutte le spese mediche a suo carico. Soltanto se si ferma oltre i tre mesi e non ha ottenuto il permesso per lavoro scatta l’irregolarità che permette di ottenere ”un codice Stp. Prima, di fatto, si è esclusi dalle cure, con tutti i rischi legati, per esempio, alle malattie croniche”.

In questi casi, in assenza di soluzione ufficiale, i medici di Sokos tentano soluzioni alternative: dialogando con le Usl o chiedendo aiuto a colleghi interni agli ospedali, spesso riescono a tamponare anche situazioni oncologiche gravi. Tuttavia, durante la pandemia, anche le associazioni a cui di solito si affidano gli stranieri hanno chiuso gran parte dei servizi.